domenica 8 settembre 2013

Il grande Gatsby

Il grande Gatsby di Baz Luhrmann e Di Caprio, dopo il successo al cinema, arriva ora nelle nostre case. Uscita prevista il 18 settembre in DVD e Blu-ray. Per l’occasione, ecco a voi la mia corposa critica al film.




Regia: Baz Luhrmann.
Attori: Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Isla Fisher.
Titolo originale: The Great Gatsby.
Genere: Drammatico.
Produzione: Australia, USA.
Distribuzione: Warner Bros talia.
Anno: 2013.
Durata: 142 min.


Recensione:

Il nuovo Gatsby
Sono passati 34 anni da quando Jack Clayton tentava di portare sul grande schermo uno dei capolavori letterari del ‘900, il “primo passo in avanti fatto dalla narrativa americana dopo Henry James” secondo T.S. Eliot, e cioè l’America raccontata dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, in un romanzo anche autobiografico, Il grande Gatsby. Era il 1974. Robert Redford vestiva i costosi panni di Jay Gatsby. Il risultato non fu un grande successo: il film appare, soprattutto nella prima parte, come una sequenza di scene, una dietro l’altra, senz’altro fedeli all’originale ma disconnesse fra loro, trasmettendo allo spettatore un senso di disarmonia. Inoltre Redford, nonostante la sua indubbia bravura, non ci fa capire davvero chi è Gatsby. Questa è anche l’opinione di Baz Luhrmann (Moulin Rouge, 2001), che decide perciò di fare un altro film, il quarto tratto dal romanzo di Fitzgerald dopo la versione muta del 1926, quella del 1949 di Elliott Nuget con il biondissimo Alan Ladd e quella appunto del 1974. L’idea gli venne “un giorno mentre ero su un treno transiberiano, in compagnia di una bottiglia di vino australiano e con il libro che mi risuonava nelle orecchie … semplicemente sublime.” Al centro del progetto Leonardo Di Caprio, con cui aveva già collaborato in Romeo + Giulietta (1996), la rivisitazione in chiave postmoderna del dramma Shakespeareiano più conosciuto al mondo. Questo il primo grande merito di Luhrmann, perché Di Caprio riesce, superando di gran lunga i suoi predecessori, a portare sul grande schermo la vera essenza di Jay Gatsby. E chissà che questa sia la volta buona perché uno degli attori più straordinariamente dotati del panorama internazionale ottenga finalmente il degno riconoscimento, quella statuetta dorata a cui aspira da tempo e che incredibilmente manca alla sua collezione, quell’oscar che lo ricompenserebbe per una carriera fin qui formidabile, da cui ha annunciato che si prenderà una pausa per dedicarsi alla sua missione ecologista.


Chi è Gatsby?
Procediamo con ordine. Il Grande Gatsby racconta l’estate del 1922, ed è ambientato tra New York e Long Island. Più precisamente il racconto è affidato a Nick Carraway, protagonista della storia, nel film interpretato da un azzeccatissimo ex Spiderman Toby Maguaire. Nick decide di passare l’estate a Long Island, a West Egg, per poter stare un po’ di tempo con sua cugina Daisy e il marito Tom Buchanan, noto giocatore di polo, che hanno una casa sulla sponda opposta del fiume Hudson, a East Egg, dove si recano tutte le estati. L’appartamento da 80 dollari al mese di Nick confina con la maestosa villa di
Gatsby, di cui farà presto la conoscenza. Gatsby infatti ama organizzare delle feste grandiose a ingresso libero, a cui partecipano praticamente tutti gli abitanti della città e molte figure di spicco del mondo del cinema e della politica. Nick sarà l’unico a parteciparvi tramite un invito ufficiale del suo vicino di casa. È proprio ad una di queste feste che conosce Gatsby, in privato, nel suo studio, perché lui non partecipa mai ai suoi party. “Non sono stato un buon padrone di casa vecchio mio”.
Ma chi è Jay Gatsby? Sul suo conto girano molte voci. Si dice che provenga da una famiglia facoltosa di cui è l’unico erede rimasto in vita, che abbia studiato a Oxford e sia un eroe di guerra, “…più che altro era una spia tedesca durante la guerra”. “Dicono che sia cugino o nipote del Kaiser Guglielmo”



Gatsby stesso rivela false notizie su di sé, o mezze verità e non si preoccupa di smentire neanche quelle più compromettenti, come nel dialogo con Nick, “Dicono che lei abbia ucciso un uomo”. “Solo uno?”. Soltanto Nick riuscirà a conoscere veramente Jay Gatsby. Così lo descrive: “Era uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s’incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava – o sembrava fronteggiare – l’intero mondo esteriore per un istante, poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore. Ti capiva fin dove volevi essere capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te, ti assicurava di aver ricevuto da te esattamente l’impressione migliore che speravi di dare”. La verità sul suo passato verrà pian piano svelata. Ma se si vuole conoscere davvero quest’uomo bisogna guardare agli ultimi 5 anni della sua vita, passati ad amare e prepararsi al ritorno del grande amore della sua vita, Daisy. Riporto di seguito l’eccellente descrizione fatta da Wikipedia: Gatsby si può considerare come un "eroe romantico" nella sua accezione più lata e più profonda. Egli è infatti un personaggio destinato alla sconfitta, appare inadeguato al gretto mondo che lo circonda. È però proprio qui che risiede la sua grandezza: Gatsby infatti vive solo per un sogno ed è perfino disposto a morire per esso, un sogno chiamato Daisy. La reggia, le macchine, il denaro, nulla ha importanza; paradossalmente la statura morale e spirituale del personaggio è immensa finendo per nascondere il suo passato oscuro e criminoso. Gatsby incarna la più istintiva purezza della natura umana, è proprio il suo desiderio così genuino che non gli darà scampo portandolo a una sorta di autodistruzione. La fine di Gatsby è infatti emotivo-passionale, la morte fisica ne è solo un semplice corollario.”
Gatsby è l’uomo sul balcone, intento ad allungare una mano in direzione della luce verde, quella luce che lampeggia dal molo della casa di Daisy, così lontana ma anche così vicina, inafferrabile ma del colore della speranza. È la speranza di Gatsby di poterla un giorno afferrare, e con essa riafferrare il suo amore lontano ma non svanito, sicuro in cuor suo di recuperare il tempo perduto. “Non si può ripetere il passato” gli dice Nick. “Si può di certo.”



Nick stesso ci rivela di non aver mai incontrato in vita sua nessuno con un senso della speranza così grande. Ma è un sentimento destinato a sgretolarsi sotto i colpi di una realtà crudele. Perché il suo desiderio è un miraggio che scompare non appena sta per raggiungerlo. Ma in lui la speranza è così forte che niente e nessuno può portargliela via, solo la morte. E così, incolpato ingiustamente di avere una relazione con Myrtle, la moglie di George Wilson, proprietario di un’officina situata in mezzo al nulla, sulla strada per New York, che invece andava a letto con Tom; nonché dell’omicidio della donna, investita da Daisy; privato del suo sogno d’amore per ben due volte, sarà infine assassinato proprio da Wilson che poi si suiciderà. Nessuno andrà al suo funerale tra le centinaia di persone che affollavano la sua villa, neanche una rosa da parte di Daisy. Solo Nick sarà presente, l’unico amico vero che abbia mai avuto, indignato per il comportamento della cugina e di suo marito. Erano gente indifferente, Tom e Daisy sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto
In realtà anche il padre di Gatsby arriva a dare l’estremo saluto al figlio, di cui così scopriamo il vero nome, James Gats.
Ma la luce verde sul pontile dei Buchanan rappresenta anche altro. Scrive Rollo May: quella luce "è simbolo del mito americano: essa allude a nuove potenzialità, nuove frontiere, la nuova vita che ci attende dietro l'angolo [...] Non esiste destino; se esiste, lo abbiamo costruito noi stessi [...] La luce verde diventa la nostra più grande illusione... nasconde i nostri problemi con le sue infinite promesse, e intanto distrugge i nostri valori. La luce verde è il mito della Terra Promessa che genera ideali alla Horatio Alger".
Se è vero che la speranza è l’ultima a morire, in questo caso muore chi spera fino all’ultimo. Non importa quanto nobile e grande sia l’intento o l’obiettivo da raggiungere, colui che spera si rende debole e scopre il fianco agli attacchi degli indifferenti e dei cinici.


Voyeurismo. Vedere ed essere visti. Osservare senza agire.
Vi ricordate La finestra sul cortile, il famoso film di Alfred Hitchcock del 1954? Jeff (James Stewart) è colui che si può definire un voyeur. Per tutto il film, dalle finestre del suo appartamento, guarda ciò che succede negli altri appartamenti che si affacciano su un cortile interno. Impossibilitato a muoversi perché costretto a letto con una gamba ingessata, vede senza essere visto, salvo poi nel finale quando diventa oggetto dello sguardo di Lars Thorwald (l’assassino – Raymond Burr).
Ne Il grande Gatsby, 32 anni prima, troviamo il tema del voyeurismo più volte. Tre, per essere precisi. Innanzitutto c’è uno scambio di sguardi tra Jay Gatsby e Nick Carraway. Spesso capita che Nick, rientrando a casa, si senta osservato e alzi gli occhi verso l’alto in direzione della reggia di Gatsby, e lo scorga spiarlo da una delle tante finestre che si affacciano sul suo giardino, come molti curiosi fanno all’arrivo di un nuovo vicino di casa, e poi nascondersi una volta scoperto. E la cosa prosegue anche dopo che i due si sono conosciuti e hanno fatto amicizia. Cambia però una dinamica: l’imbarazzo di essere sorpreso a guardare uno sconosciuto scompare, lasciando spazio a sorrisi e saluti. Come se stringere un legame con l’oggetto della visione rendesse l’atto del voyeur lecito.
Il secondo momento di voyeurismo è più particolare. Protagonista è sempre Nick Carraway, stavolta è lui il voyeur. Di se stesso. Nick è un uomo perbene, di sani principi e grande moralità, eticamente irreprensibile. Tom lo invita ad accompagnarlo nel suo appartamento di New York, a conoscere la donna con cui lì passa del tempo. Poi insiste perché si fermi a festeggiare e a far baldoria con i suoi amici. Fra loro c’è Jordan Baker, con cui Nick instaurerà una breve relazione. Tra musica, balli e alcool, Nick Carraway, sbronzo per la prima volta nella sua vita, come ci confida lui stesso, era lì, a divertirsi in quell’appartamento ma anche giù, in strada, a guardare incuriosito, attratto dalla musica e le risa. “Ero dentro e fuori allo stesso tempo.” Nick tende ad astenersi dai giudizi, e questa è una virtù, ma appare caratterizzato da una passività piuttosto evidente. Per se stesso non ammette certo uno stile di vita come quello di Tom, o di Daisy e neanche di Gatsby, ma il suo turbamento di fronte ad atteggiamenti che non condivide lo tiene quasi sempre per sé. Giusto nel finale – particolare questo non presente nel film di Luhrmann – esprime il suo disappunto nei confronti di Tom e Daisy, a loro personalmente. A lui, dopo che, per salvare se stesso, aveva raccontato a Wilson che l’automobile con cui Myrtle era stata investita apparteneva a Gatsby. Alla cugina, per aver mostrato indifferenza alla morte di Jay. Ci troviamo di fronte ad un uomo che ha fatto del “vivi e lascia vivere” un suo modus vivendi, ma c’è anche qualcosa di più. Nick sembra preferire osservare la vita più che viverla, ed anche nei momenti in cui è lui il protagonista attivo di una situazione, come nell’appartamento newyorkese di Tom, non può fare a meno di sentirsi nello stesso tempo fuori, in strada, che si limita a guardare ciò che accade, senza partecipare.
La terza situazione non è un vero e proprio atto voyeuristico, perché chi guarda è un oggetto inanimato. Si tratta del cartellone pubblicitario che si erge nella zona desolata in cui si trova l’officina di Wilson, in cui è rappresentata una gigantografia del dott. T. J. Eckleburg. I suoi occhi attenti e giudicanti sono quelli di un Dio che osserva tutto ma non interviene nella vita dei personaggi. Sotto di essi l’alta borghesia si macchia di gravi peccati, tra i quali il tradimento e l’omicidio. Sapere di avere lo sguardo di Dio puntato su di sé non basta a far desistere da azioni immorali.


Differenze tra romanzo e film.
Il grande Gatsby di Luhrmann-Di Caprio è senz’altro molto fedele al romanzo da cui è tratto, nei dialoghi e nelle vicende. Ma qualche differenza la troviamo lo stesso. Il Nick Carraway scrittore di un diario dal quale conosciamo tutta la storia è un’invenzione del regista, una trovata apprezzabile che giustifica l’inserimento della voce fuori campo di Nick, che ci accompagna per tutto il film con la “lettura” di alcune frasi estrapolate dal romanzo di Fitzgerald, e crea quel senso di uniformità che mancava al precedente lavoro di Clayton con protagonisti Robert Redford e Mia Farrow. Un’altra differenza importante è nel finale. Nel romanzo, e nel film di Clayton, Nick incontra il padre di Gatsby, venuto a dare l’estremo saluto al figlio, grazie al quale conosciamo qualcosa in più sulla vita dell’eclettico Jay Gatsby. Questo evento, piuttosto importante, nell’opera di Luhrmann manca, forse per motivi di tempo. Ci sono poi altre due differenze: non c’è l’indignazione di Nick dopo la morte di Jay, diretta ai coniugi Buchanan, già menzionata prima; mentre la relazione tra Nick e Jordan, nel romanzo ampiamente descritta, è qui solo accennata, così come altri particolari della vita lavorativa e sentimentale di Nick.


Meriti e demeriti di Baz Luhrmann
C’è da complimentarsi con Luhrmann per più di un motivo: ho già citato la scelta di Leonardo Di Caprio per il ruolo di Jay Gatsby, e l’aver dato alla sua opera quella compattezza che era mancata al film di Clayton, per cui la storia e le vicende di quell’estate scorrono in modo naturale e armonioso. Da citare inoltre l’impiego del 3D per le scene delle feste. Leggendo il numero di maggio 2013 della rivista cinematografica Best Movie, ho scoperto che Luhrmann si è convinto a usare la tecnica in seguito ad una conferenza tenuta da James Cameron nel periodo in cui stava girando Avatar. Per il suo film Luhrmann studiò la versione 3D de Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock, del 1954. “Era come essere a teatro” rivelò Baz. “Tutti storcono il naso quando si nomina il 3D legato a Il grande Gatsby e Baz Luhrmann. Ma Fitzgerald avrebbe approvato. Era un modernista ed era molto influenzato dal cinema.”



Non tutte le scelte del regista però mi hanno soddisfatto. Sebbene abbia ammirato molto i suoi sforzi di dare un tocco di modernità a Il grande Gatsby, non ho apprezzato i voli con la telecamera sui palazzi della città e sul fiume, che ricordano quelli di Ebenezer Scrooge, alias Jim Carrey, in compagnia degli spiriti del Natale passato, presente e futuro, in A Christmas Carol (2009), la trasposizione cinematografica, realizzata in animazione digitalizzata in 3D, del racconto di Charles Dickens. Mi sono sembrati fuori luogo e non adatti al tipo di film.
Che Luhrmann fosse un modernista ce lo ricordavamo dai tempi del suo Romeo + Giulietta del 1996, in cui ha preso in blocco tutti i personaggi e la storia, e li ha adattati ai tempi correnti. Ma qui il discorso è diverso. Baz si è divertito a creare tutta una serie di commistioni temporali. Un esempio? C’è una scena in cui viene inquadrata una strada della città. Le automobili sono quelle dell’epoca, gli edifici invece brulicano di scritte al neon, insegne luminose, video pubblicitari, in perfetto stile Las Vegas. Ma l’esempio più lampante e significativo è rappresentato dalla scelta della colonna sonora. A molti spettatori sono piaciute particolarmente le scene delle feste. Col 3D sembra di muoversi tra le persone e ballare con loro. E alcuni, soprattutto giovani, hanno apprezzato i pezzi dei vari Jay-Z, Beyoncé, will.i.am, Bryan Ferry che animano gli sfarzosi party nella villa di Gatsby. Personalmente ritengo sia la vera “nota stonata” del film. Con il suo romanzo Fitzgerald dipinge un bel ritratto dell’età del jazz, sostituito da Luhrmann da brani rap e musica dance, pop ed elettronica. Il problema non è certo il genere musicale in sé, ma l’averlo inserito in un’ambientazione d’altri tempi. Ci ritroviamo immersi nel 1922, con vestiti e atmosfere dell’epoca, e una colonna sonora del 2013. L’unico brano di quei tempi è Rhapsody in blue. Peccato che Gershwin compose il suo capolavoro solamente nel 1924.


Conclusioni.
Nel complesso la coppia Luhrmann-Di Caprio è riuscita a portare sullo schermo l’anima di Gatsby e del suo creatore, pur con qualche sbavatura e mancanza. Forse è vero, come dice il proverbio, che la perfezione non è di questo mondo. Ma sono convinto che in futuro qualcun altro, dopo aver finito di leggere il romanzo, sentirà il desiderio di provare a fare meglio dei suoi predecessori. Quando quel giorno arriverà, sentiremo di nuovo parlare del grande Gatsby.


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