Regia: Baz Luhrmann.
Attori: Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Isla Fisher.
Titolo originale: The Great Gatsby.
Genere: Drammatico.
Produzione: Australia, USA.
Distribuzione: Warner Bros talia.
Anno: 2013.
Durata: 142 min.
Recensione:
Il nuovo Gatsby
Sono
passati 34 anni da quando Jack Clayton tentava di portare sul grande schermo uno
dei capolavori letterari del ‘900, il “primo
passo in avanti fatto dalla narrativa americana dopo Henry James” secondo
T.S. Eliot, e cioè l’America raccontata
dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, in un romanzo anche autobiografico, Il grande Gatsby. Era il 1974. Robert
Redford vestiva i costosi panni di Jay Gatsby. Il risultato non fu un grande successo:
il film appare, soprattutto nella prima parte, come una sequenza di scene, una
dietro l’altra, senz’altro fedeli all’originale ma disconnesse fra loro, trasmettendo
allo spettatore un senso di disarmonia. Inoltre Redford, nonostante la sua
indubbia bravura, non ci fa capire davvero chi è Gatsby. Questa è anche l’opinione
di Baz Luhrmann (Moulin Rouge, 2001),
che decide perciò di fare un altro film, il quarto tratto dal romanzo di
Fitzgerald dopo la versione muta del 1926, quella del 1949 di Elliott Nuget con
il biondissimo Alan Ladd e quella appunto del 1974. L’idea gli venne “un giorno mentre ero su un treno transiberiano,
in compagnia di una bottiglia di vino australiano e con il libro che mi
risuonava nelle orecchie … semplicemente sublime.” Al centro del progetto
Leonardo Di Caprio, con cui aveva già collaborato in Romeo + Giulietta (1996), la rivisitazione in chiave postmoderna
del dramma Shakespeareiano più conosciuto al mondo. Questo il primo grande
merito di Luhrmann, perché Di Caprio riesce, superando di gran lunga i suoi predecessori,
a portare sul grande schermo la vera essenza di Jay Gatsby. E chissà che questa
sia la volta buona perché uno degli attori più straordinariamente dotati del
panorama internazionale ottenga finalmente il degno riconoscimento, quella
statuetta dorata a cui aspira da tempo e che incredibilmente manca alla sua
collezione, quell’oscar che lo ricompenserebbe per una carriera fin qui
formidabile, da cui ha annunciato che si prenderà una pausa per dedicarsi alla
sua missione ecologista.
Chi è Gatsby?
Procediamo
con ordine. Il Grande Gatsby racconta
l’estate del 1922, ed è ambientato tra New York e Long Island. Più precisamente
il racconto è affidato a Nick Carraway, protagonista della storia, nel film
interpretato da un azzeccatissimo ex Spiderman Toby Maguaire. Nick decide di
passare l’estate a Long Island, a West Egg, per poter stare un po’ di tempo con
sua cugina Daisy e il marito Tom Buchanan, noto giocatore di polo, che hanno
una casa sulla sponda opposta del fiume Hudson, a East Egg, dove si recano tutte
le estati. L’appartamento da 80 dollari al mese di Nick confina con la maestosa
villa di
Gatsby, di cui farà presto la conoscenza. Gatsby infatti ama organizzare delle feste grandiose a ingresso libero, a cui partecipano praticamente tutti gli abitanti della città e molte figure di spicco del mondo del cinema e della politica. Nick sarà l’unico a parteciparvi tramite un invito ufficiale del suo vicino di casa. È proprio ad una di queste feste che conosce Gatsby, in privato, nel suo studio, perché lui non partecipa mai ai suoi party. “Non sono stato un buon padrone di casa vecchio mio”.
Gatsby, di cui farà presto la conoscenza. Gatsby infatti ama organizzare delle feste grandiose a ingresso libero, a cui partecipano praticamente tutti gli abitanti della città e molte figure di spicco del mondo del cinema e della politica. Nick sarà l’unico a parteciparvi tramite un invito ufficiale del suo vicino di casa. È proprio ad una di queste feste che conosce Gatsby, in privato, nel suo studio, perché lui non partecipa mai ai suoi party. “Non sono stato un buon padrone di casa vecchio mio”.
Ma
chi è Jay Gatsby? Sul suo conto girano molte voci. Si dice che provenga da una
famiglia facoltosa di cui è l’unico erede rimasto in vita, che abbia studiato a
Oxford e sia un eroe di guerra, “…più che
altro era una spia tedesca durante la guerra”. “Dicono che sia cugino o nipote del Kaiser Guglielmo”.
Gatsby stesso rivela false notizie su di sé, o mezze verità e non si preoccupa di smentire neanche quelle più compromettenti, come nel dialogo con Nick, “Dicono che lei abbia ucciso un uomo”. “Solo uno?”. Soltanto Nick riuscirà a conoscere veramente Jay Gatsby. Così lo descrive: “Era uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s’incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava – o sembrava fronteggiare – l’intero mondo esteriore per un istante, poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore. Ti capiva fin dove volevi essere capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te, ti assicurava di aver ricevuto da te esattamente l’impressione migliore che speravi di dare”. La verità sul suo passato verrà pian piano svelata. Ma se si vuole conoscere davvero quest’uomo bisogna guardare agli ultimi 5 anni della sua vita, passati ad amare e prepararsi al ritorno del grande amore della sua vita, Daisy. Riporto di seguito l’eccellente descrizione fatta da Wikipedia: “Gatsby si può considerare come un "eroe romantico" nella sua accezione più lata e più profonda. Egli è infatti un personaggio destinato alla sconfitta, appare inadeguato al gretto mondo che lo circonda. È però proprio qui che risiede la sua grandezza: Gatsby infatti vive solo per un sogno ed è perfino disposto a morire per esso, un sogno chiamato Daisy. La reggia, le macchine, il denaro, nulla ha importanza; paradossalmente la statura morale e spirituale del personaggio è immensa finendo per nascondere il suo passato oscuro e criminoso. Gatsby incarna la più istintiva purezza della natura umana, è proprio il suo desiderio così genuino che non gli darà scampo portandolo a una sorta di autodistruzione. La fine di Gatsby è infatti emotivo-passionale, la morte fisica ne è solo un semplice corollario.”
Gatsby stesso rivela false notizie su di sé, o mezze verità e non si preoccupa di smentire neanche quelle più compromettenti, come nel dialogo con Nick, “Dicono che lei abbia ucciso un uomo”. “Solo uno?”. Soltanto Nick riuscirà a conoscere veramente Jay Gatsby. Così lo descrive: “Era uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s’incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava – o sembrava fronteggiare – l’intero mondo esteriore per un istante, poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore. Ti capiva fin dove volevi essere capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te, ti assicurava di aver ricevuto da te esattamente l’impressione migliore che speravi di dare”. La verità sul suo passato verrà pian piano svelata. Ma se si vuole conoscere davvero quest’uomo bisogna guardare agli ultimi 5 anni della sua vita, passati ad amare e prepararsi al ritorno del grande amore della sua vita, Daisy. Riporto di seguito l’eccellente descrizione fatta da Wikipedia: “Gatsby si può considerare come un "eroe romantico" nella sua accezione più lata e più profonda. Egli è infatti un personaggio destinato alla sconfitta, appare inadeguato al gretto mondo che lo circonda. È però proprio qui che risiede la sua grandezza: Gatsby infatti vive solo per un sogno ed è perfino disposto a morire per esso, un sogno chiamato Daisy. La reggia, le macchine, il denaro, nulla ha importanza; paradossalmente la statura morale e spirituale del personaggio è immensa finendo per nascondere il suo passato oscuro e criminoso. Gatsby incarna la più istintiva purezza della natura umana, è proprio il suo desiderio così genuino che non gli darà scampo portandolo a una sorta di autodistruzione. La fine di Gatsby è infatti emotivo-passionale, la morte fisica ne è solo un semplice corollario.”
Gatsby
è l’uomo sul balcone, intento ad allungare una mano in direzione della luce
verde, quella luce che lampeggia dal molo della casa di Daisy, così lontana ma
anche così vicina, inafferrabile ma del colore della speranza. È la speranza di
Gatsby di poterla un giorno afferrare, e con essa riafferrare il suo amore lontano
ma non svanito, sicuro in cuor suo di recuperare il tempo perduto. “Non si può ripetere il passato” gli
dice Nick. “Si può di certo.”
Nick stesso ci rivela di non aver mai incontrato in vita sua nessuno con un senso della speranza così grande. Ma è un sentimento destinato a sgretolarsi sotto i colpi di una realtà crudele. Perché il suo desiderio è un miraggio che scompare non appena sta per raggiungerlo. Ma in lui la speranza è così forte che niente e nessuno può portargliela via, solo la morte. E così, incolpato ingiustamente di avere una relazione con Myrtle, la moglie di George Wilson, proprietario di un’officina situata in mezzo al nulla, sulla strada per New York, che invece andava a letto con Tom; nonché dell’omicidio della donna, investita da Daisy; privato del suo sogno d’amore per ben due volte, sarà infine assassinato proprio da Wilson che poi si suiciderà. Nessuno andrà al suo funerale tra le centinaia di persone che affollavano la sua villa, neanche una rosa da parte di Daisy. Solo Nick sarà presente, l’unico amico vero che abbia mai avuto, indignato per il comportamento della cugina e di suo marito. “Erano gente indifferente, Tom e Daisy – sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto”
In
realtà anche il padre di Gatsby arriva a dare l’estremo saluto al figlio, di
cui così scopriamo il vero nome, James Gats.
Ma
la luce verde sul pontile dei Buchanan rappresenta anche altro. Scrive Rollo May: quella luce "è simbolo del mito americano:
essa allude a nuove potenzialità, nuove frontiere, la nuova vita che ci attende
dietro l'angolo [...] Non esiste destino; se esiste, lo abbiamo costruito noi
stessi [...] La luce verde diventa la nostra più grande illusione... nasconde i
nostri problemi con le sue infinite promesse, e intanto distrugge i nostri
valori. La luce verde è il mito della Terra Promessa che genera ideali alla Horatio
Alger".
Se è vero che la speranza è
l’ultima a morire, in questo caso muore chi spera fino all’ultimo. Non importa
quanto nobile e grande sia l’intento o l’obiettivo da raggiungere, colui che
spera si rende debole e scopre il fianco agli attacchi degli indifferenti e dei
cinici.
Voyeurismo. Vedere ed essere visti. Osservare senza agire.
Vi
ricordate La finestra sul cortile, il
famoso film di Alfred Hitchcock del 1954? Jeff (James Stewart) è colui che si
può definire un voyeur. Per tutto il film, dalle finestre del suo appartamento,
guarda ciò che succede negli altri appartamenti che si affacciano su un cortile
interno. Impossibilitato a muoversi perché costretto a letto con una gamba
ingessata, vede senza essere visto, salvo poi nel finale quando diventa oggetto
dello sguardo di Lars Thorwald (l’assassino – Raymond Burr).
Ne
Il grande Gatsby, 32 anni prima, troviamo
il tema del voyeurismo più volte. Tre, per essere precisi. Innanzitutto c’è uno
scambio di sguardi tra Jay Gatsby e Nick
Carraway. Spesso capita che Nick, rientrando a casa, si senta osservato e alzi
gli occhi verso l’alto in direzione della reggia di Gatsby, e lo scorga spiarlo
da una delle tante finestre che si affacciano sul suo giardino, come molti
curiosi fanno all’arrivo di un nuovo vicino di casa, e poi nascondersi una
volta scoperto. E la cosa prosegue anche dopo che i due si sono conosciuti e
hanno fatto amicizia. Cambia però una dinamica: l’imbarazzo di essere sorpreso
a guardare uno sconosciuto scompare, lasciando spazio a sorrisi e saluti. Come
se stringere un legame con l’oggetto della visione rendesse l’atto del voyeur
lecito.
Il
secondo momento di voyeurismo è più particolare. Protagonista è sempre Nick
Carraway, stavolta è lui il voyeur. Di se stesso. Nick è un uomo perbene, di
sani principi e grande moralità, eticamente irreprensibile. Tom lo invita ad
accompagnarlo nel suo appartamento di New York, a conoscere la donna con cui lì
passa del tempo. Poi insiste perché si fermi a festeggiare e a far baldoria con
i suoi amici. Fra loro c’è Jordan Baker, con cui Nick instaurerà una breve
relazione. Tra musica, balli e alcool, Nick Carraway, sbronzo per la prima
volta nella sua vita, come ci confida lui stesso, era lì, a divertirsi in
quell’appartamento ma anche giù, in strada, a guardare incuriosito, attratto
dalla musica e le risa. “Ero dentro e
fuori allo stesso tempo.” Nick tende ad astenersi dai giudizi, e questa è
una virtù, ma appare caratterizzato da una passività piuttosto evidente. Per se
stesso non ammette certo uno stile di vita come quello di Tom, o di Daisy e
neanche di Gatsby, ma il suo turbamento di fronte ad atteggiamenti che non
condivide lo tiene quasi sempre per sé. Giusto nel finale – particolare questo
non presente nel film di Luhrmann – esprime il suo disappunto nei confronti di
Tom e Daisy, a loro personalmente. A lui, dopo che, per salvare se stesso,
aveva raccontato a Wilson che l’automobile con cui Myrtle era stata investita
apparteneva a Gatsby. Alla cugina, per aver mostrato indifferenza alla morte di
Jay. Ci troviamo di fronte ad un uomo che ha fatto del “vivi e lascia vivere”
un suo modus vivendi, ma c’è anche qualcosa di più. Nick sembra preferire
osservare la vita più che viverla, ed anche nei momenti in cui è lui il
protagonista attivo di una situazione, come nell’appartamento newyorkese di
Tom, non può fare a meno di sentirsi nello stesso tempo fuori, in strada, che
si limita a guardare ciò che accade, senza partecipare.
La
terza situazione non è un vero e proprio atto voyeuristico, perché chi guarda è
un oggetto inanimato. Si tratta del cartellone pubblicitario che si erge nella
zona desolata in cui si trova l’officina di Wilson, in cui è rappresentata una
gigantografia del dott. T. J. Eckleburg.
I suoi occhi attenti e giudicanti sono quelli di un Dio che osserva tutto ma
non interviene nella vita dei personaggi. Sotto di essi l’alta borghesia si
macchia di gravi peccati, tra i quali il tradimento e l’omicidio. Sapere di
avere lo sguardo di Dio puntato su di sé non basta a far desistere da azioni
immorali.
Differenze tra romanzo e film.
Il grande Gatsby
di Luhrmann-Di Caprio è senz’altro molto fedele al romanzo da cui è tratto, nei
dialoghi e nelle vicende. Ma qualche differenza la troviamo lo stesso. Il Nick
Carraway scrittore di un diario dal quale conosciamo tutta la storia è
un’invenzione del regista, una trovata apprezzabile che giustifica
l’inserimento della voce fuori campo di Nick, che ci accompagna per tutto il
film con la “lettura” di alcune frasi estrapolate dal romanzo di Fitzgerald, e
crea quel senso di uniformità che mancava al precedente lavoro di Clayton con
protagonisti Robert Redford e Mia Farrow. Un’altra differenza importante è nel
finale. Nel romanzo, e nel film di Clayton, Nick incontra il padre di Gatsby,
venuto a dare l’estremo saluto al figlio, grazie al quale conosciamo qualcosa
in più sulla vita dell’eclettico Jay Gatsby. Questo evento, piuttosto importante,
nell’opera di Luhrmann manca, forse per motivi di tempo. Ci sono poi altre due
differenze: non c’è l’indignazione di Nick dopo la morte di Jay, diretta ai
coniugi Buchanan, già menzionata prima; mentre la relazione tra Nick e Jordan,
nel romanzo ampiamente descritta, è qui solo accennata, così come altri
particolari della vita lavorativa e sentimentale di Nick.
Meriti e demeriti di Baz Luhrmann
C’è
da complimentarsi con Luhrmann per più di un motivo: ho già citato la scelta di
Leonardo Di Caprio per il ruolo di Jay Gatsby, e l’aver dato alla sua opera quella
compattezza che era mancata al film di Clayton, per cui la storia e le vicende di
quell’estate scorrono in modo naturale e armonioso. Da citare inoltre l’impiego
del 3D per le scene delle feste. Leggendo il numero di maggio 2013 della
rivista cinematografica Best Movie,
ho scoperto che Luhrmann si è convinto a usare la tecnica in seguito ad una
conferenza tenuta da James Cameron nel periodo in cui stava girando Avatar. Per il suo film Luhrmann studiò
la versione 3D de Il delitto perfetto
di Alfred Hitchcock, del 1954. “Era come
essere a teatro” rivelò Baz. “Tutti storcono il naso quando si nomina il 3D
legato a Il grande Gatsby e Baz Luhrmann. Ma Fitzgerald avrebbe approvato. Era
un modernista ed era molto influenzato dal cinema.”
Non
tutte le scelte del regista però mi hanno soddisfatto. Sebbene abbia ammirato
molto i suoi sforzi di dare un tocco di modernità a Il grande Gatsby, non ho apprezzato i voli con la telecamera sui
palazzi della città e sul fiume, che ricordano quelli di Ebenezer Scrooge,
alias Jim Carrey, in compagnia degli spiriti del Natale passato, presente e
futuro, in A Christmas Carol (2009),
la trasposizione cinematografica, realizzata in animazione digitalizzata in 3D,
del racconto di Charles Dickens. Mi sono sembrati fuori luogo e non adatti al
tipo di film.
Che
Luhrmann fosse un modernista ce lo ricordavamo dai tempi del suo Romeo + Giulietta del 1996, in cui ha
preso in blocco tutti i personaggi e la storia, e li ha adattati ai tempi
correnti. Ma qui il discorso è diverso. Baz si è divertito a creare tutta una
serie di commistioni temporali. Un esempio? C’è una scena in cui viene inquadrata
una strada della città. Le automobili sono quelle dell’epoca, gli edifici
invece brulicano di scritte al neon, insegne luminose, video pubblicitari, in
perfetto stile Las Vegas. Ma l’esempio più lampante e significativo è
rappresentato dalla scelta della colonna sonora. A molti spettatori sono
piaciute particolarmente le scene delle feste. Col 3D sembra di muoversi tra le
persone e ballare con loro. E alcuni, soprattutto giovani, hanno apprezzato i
pezzi dei vari Jay-Z, Beyoncé, will.i.am, Bryan Ferry che animano gli sfarzosi
party nella villa di Gatsby. Personalmente ritengo sia la vera “nota stonata”
del film. Con il suo romanzo Fitzgerald dipinge un bel ritratto dell’età del
jazz, sostituito da Luhrmann da brani rap e musica dance, pop ed elettronica.
Il problema non è certo il genere musicale in sé, ma l’averlo inserito in
un’ambientazione d’altri tempi. Ci ritroviamo immersi nel 1922, con vestiti e
atmosfere dell’epoca, e una colonna sonora del 2013. L’unico brano di quei
tempi è Rhapsody in blue. Peccato che Gershwin compose il suo capolavoro solamente nel 1924.
Conclusioni.
Nel
complesso la coppia Luhrmann-Di Caprio è riuscita a portare sullo schermo
l’anima di Gatsby e del suo creatore, pur con qualche sbavatura e mancanza.
Forse è vero, come dice il proverbio, che la perfezione non è di questo mondo.
Ma sono convinto che in futuro qualcun altro, dopo aver finito di leggere il
romanzo, sentirà il desiderio di provare a fare meglio dei suoi predecessori.
Quando quel giorno arriverà, sentiremo di nuovo parlare del grande Gatsby.
Nessun commento:
Posta un commento